Partendo da un piccolo ma significativo episodio, torno per l’ultima volta su un concetto che ho iniziato a sviluppare la scorsa settimana.
Qualche giorno fa vado a un convegno. Mi siedo in sala, pronto ad ascoltare i vari interventi. Prima che i lavori abbiano inizio, vedo confabulare due dei relatori, fra acque minerali e microfoni, Improvvisamente, uno di loro si alza ed entra a passo spedito in platea. Viene verso di me con fare apparentemente minaccioso. Mi strappa una mano, me la stringe e mi dice: “Ma lei è il famoso Alessandrini! Che onore averla qui! Leggo sempre i suoi articoli! Scrive sempre su Automazione Industriale?” Prima che abbia tempo di replicare (riesco a dire solo un fantozziano 'Ma io...') l'omaccione risale sul palco tutto soddisfatto.
L'episodio mi induce a fare qualche considerazione. Tralasciamo il primo errore, sono abituato ad essere chiamato Alessandrini. Più grave Allessandrini, come mi è capitato di vedere scrivere, perché questo indica una palese ignoranza della lingua italiana.
Il fatto che i miei articoli vengano sempre letti dall'ignoto interlocutore è possibile. Magari ha sul comodino una raccolta dei miei primi contributi pubblicati da Ingegneria Elettronica negli anni ’70 e li preferisce alla Gideon's Bible per la lettura serale quando viaggia.
Scherzi a parte, è un po' più grave l'ultima parte della domanda. Prima di tutto perché mai ho scritto una singola riga per Automazione Industriale. Non che ne sia contento, è semplicemente successo così. Ho scritto per Automazione Oggi, Automazione e Strumentazione e Automazione Integrata, ma mai per Automazione Industriale. E non starò a sottolineare il fatto che è da quasi un anno e mezzo che non scrivo più per Automazione Oggi, evidentemente chi mi ha avvicinato al convegno non lo sa.
Il punto su cui vorrei soffermarmi è il seguente: quanto è giustificato l'errore del mio ignoto estimatore (ammesso che stimi me e non qualcun altro con cui mi confonde)? A mio parere, è giustificatissimo. Tempo fa, a una svolta della mia carriera, un tale mi domandò: “Alessandroni, prima che se ne vada verso altri lidi, mi sa dire che cosa farebbe per migliorare la rivista?”. Risposi senza alcuna acredine a colui che, come direttore editoriale, avrebbe dovuto avere le idee più chiare e non basarsi sulle mie (che poi ho messo a disposizione di altri): “Si differenzi, ormai le testate tecniche stanno diventando sempre più uguali fra loro. Lei rischia di perdere i vantaggi di una diversificazione dalla concorrenza che la testata si è costruita negli anni”. E’ evidente che oggi la diversificazione tende ad essere poco marcata: si va tutti alle stesse conferenze stampa, si pubblicano spesso acriticamente le stesse notizie ricevute dalle agenzie che a volte non sanno nemmeno di che cosa stanno parlando (ho visto recentemente tradurre ‘switch Ethernet’ con ‘interruttore Ethernet’, per non parlare del classico ‘chip’ tradotto con ‘scheggia’), si galleggia tutti (o quasi) in un grande blob cercando di rubarsi gli inserzionisti a vicenda.
Sul web, l'omologazione è molto forte, come chiunque può constatare cercando con Google una qualsiasi notizia ed osservando come tutti la riportino senza cambiare una virgola. Su carta, lo sta diventando. Che senso avrà, allora, acquistare pagine pubblicitarie a caro prezzo su una certa rivista anziché avere un prezzo più basso su un’altra? Tanto varrà stabilire un prezzo unico per tutti, con lievi oscillazioni locali, come avviene con la benzina. Oggi, quando sono a secco mi fermo al primo distributore, senza guardare la marca. Dopo l'estate, quando vorrò leggere un articolo su NIWeek 2011 prenderò la prima rivista che mi capita, anche quella dell’oratorio: gli articoli saranno quasi uguali fra loro. Il vero autore sarà il ragazzo che prepara i comunicati stampa negli uffici di NI. Perché? Perché, se consideriamo che quest'anno a NIWeek è stato invitato un solo giornalista italiano, è facile dedurre che il copia e incolla si scatenerà: uno scriverà la notizia originale, gli altri la riprenderanno più o meno pedestremente appena il comunicato verrà diramato dall’azienda. Con buona pace di quell’unico giornalista che si sarà sobbarcato un viaggio fino ad Austin, Texas, per scrivere qualcosa che avrà visto con i suoi occhi.
Che fare? Per cominciare bisognerebbe, ad esempio, essere un po' più selettivi. Ho visto colleghi partecipare a conferenze stampa e poi non scrivere una riga, perché dietro il fumo non c'era sostanza. Ho visto pubblicare notizie di aziende non inserzioniste ma che avevano qualcosa da dire. In entrambi i casi le direzioni commerciali dei rispettivi editori non saranno state molto contente, ma qui sta appunto la differenza fra un giornalista e un venditore di spazi pubblicitari.
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