7.04.2011

Leggere o non leggere?

Un tale per cui mi è capitato di lavorare aveva un’idea molto precisa sulle riviste di settore, le cosiddette b2b (business-to-business). “Spesso”, diceva, “quando vado in un’azienda e devo passare qualche minuto in sala d’attesa, vedo molte riviste ancora incellofanate. Molte sono state spedite genericamente all’ufficio marketing o al direttore tecnico e sono finite direttamente sul tavolino che ho di fronte. Le riviste aperte, invece, hanno quasi sempre un orecchio su una pagina: quella dove c’è l’inserzione pagata dall’azienda in cui mi trovo in quel momento”. Condivido pienamente. A parte la difficoltà, spesso, di distinguere una rivista dall’altra perché tutte hanno un’impostazione molto simile, anch’io faccio a volte un semplice esperimento: si prenda una rivista dal tavolino della saletta d’attesa; la si appoggi sul dorso (il lato più corto, per i non addetti) e si allontanino leggermente le dita. La rivista si aprirà dolcemente alla pagina dell’azienda in cui si sta aspettando pazientemente il proprio interlocutore. Nei casi peggiori non si aprirà affatto, segno che non è mai stata nemmeno sfogliata. Le pagine più sporche sono le ultime, perché chi aspetta e non sa proprio che cosa fare sfoglia frettolosamente le riviste partendo dal fondo.

Forse non si riflette abbastanza su ciò che ho appena riferito, che è segno di un’evidente disattenzione o disaffezione per ciò che viene pubblicato dalla cosiddetta ‘stampa specializzata’. Anche io non sono un accanito lettore di riviste b2b, direi anzi il contrario. Leggo molto volentieri, invece, riviste specializzate che parlano di viaggi, di cultura, di storia e di tante altre cose meno impegnative. Come molte altre persone, leggo volentieri anche la buona, vecchia Settimana Enigmistica. Perché? Innanzitutto, perché non cercano di vendermi niente. Faccio un esempio. Quando ero studente, mi hanno insegnato la legge di Ohm. Ma nessuno si è sognato di dirmi la marca del resistore che avevo davanti. Così è stato per la seconda legge della termodinamica, per i motori elettrici e per tutte le altre apparecchiature utilizzate a lezione. Oggi avrei le stesse pretese: sapere come funziona un PAC, che cos’è il cloud computing o capire il controllo vettoriale della velocità di un motore senza dovermi sorbire le caratteristiche di prodotti che non comprerò mai. Questo, su una rivista b2b è quasi impossibile, se si esclude qualche rubrica tipo Tutorial, ABC, ecc.

Secondo motivo: leggendo le riviste riviste b2b sembra di vivere in un mondo ideale, dove tutto funziona bene, è vantaggioso per l’azienda, costa poco e così via. Per forza: se si dicesse che il PLC di quel certo costruttore si blocca continuamente o che quel dispositivo con interfaccia Ethernet TCP/IP non funziona affatto su Ethernet TCP/IP si guadagnerebbe forse qualche lettore, ma si perderebbe sicuramente il relativo inserzionista. Non mi tiro fuori dal mucchio, questa è anche un'autocritica: anche io ho scritto e scrivo molti articoli commissionati da aziende, nei quali faccio dire agli intervistati quanto sono bravi, belli e intelligenti i loro fornitori, ma almeno lo dicono loro, uso le virgolette, non sono mai dichiarazioni mie. La lunga casistica di lamentele, cambi furibondi di fornitori, pezzi di ricambio che non arrivano, parti che esistono solo a catalogo ma non nella realtà, però, c’è e mi serve quando devo fare qualche consulenza. Tornando al punto, tuttavia, questa continua compiacenza, questo parlare sempre bene danneggiano alla fine l’immagine di molte riviste, livellando verso il basso il settore e dando appunto la sensazione che leggere la rivista A piuttosto che la rivista B sia la stessa cosa. Tornerò lunedì prossimo su questo aspetto, con un episodio curioso. Ed ecco che, caso forse unico nell’editoria specializzata mondiale, a dirigere molte di queste riviste ci sono, accanto a tante persone competenti, anche l’amante del padrone (non ci sarebbe nulla di male, se almeno conoscesse l'argomento), l’esperto di pizze (che purtroppo non lavora per una rivista rivolta ai pizzaioli), la mancata maestra d’asilo, e così via. Tutti questi personaggi sono in grado, una volta addestrati, di fare un ‘copia e incolla’ dignitoso. Con buona pace dell’inserzionista, che non vede mai criticati i contenuti dei suoi comunicati stampa; dell’editore, che non perde inserzionisti; delle redazioni, che riempiono le pagine senza troppa fatica; delle aziende citate nelle ‘applicazioni concrete’ o 'case history', che possono mettere l’orecchio sull’unica pagina della rivista che interessa loro. Ma non del lettore che, se appena può, preferisce un forum su Internet, una rivista straniera (brutta carta, ma spesso bei contenuti) o un buon libro. Forse sarebbe il caso di cominciare a cambiare, magari iniziando da qualche domanda un po' più cattiva a certe conferenze stampa.

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